Conciliazione facoltativa nelle controversie di lavoro… per tutto il resto: mediazione obbligatoria

La LEGGE 4 novembre 2010, n. 183: “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro” entrerà in vigore il 24 novembre 2010.

Una delle novità più rilevanti è costituita dall’abrogazione della obbligatorietà del tentativo di conciliazione quale presupposto della procedibilità della domanda giudiziale.
In buona sostanza, il tentativo di conciliazione:

  • Continua ad essere condizione di procedibilità della domanda nei giudizi riguardanti la verifica di un contratto di lavoro certificato. In questo caso se non viene esperito prima della proposizione del ricorso il relativo giudizio verrà dichirato improcedibile (non vi sarà più la rimessione del giudice innanzi alla commissione lavoro competente).
  • Non è più obbligatorio, invece, per tutte le altre controversie in materia di lavoro. In questo caso, tuttavia, se effettuato, vanno depositati in giudizio tutti gli atti del procedimento che saranno valutati dal giudice ai fini del giudizio.

La materia in oggetto è ampiamente regolamentata da una analitica disciplina in ordine agli strumenti deflattivi del contenzioso lavoristico sulla base degli accordi contrattuali. Le parti, infatti, possono scegliere due vie alternative:

  • o adire immediatamente le vie legali;
  • o privilegiare la composizione negoziale della lite.

In quest’ultimo caso (composizione negoziale), è possibile effettuare una duplice scelta:

  • si può prevedere il tentativo di conciliazione in sede sindacale o amministrativa senza preclusione del successivo ricorso all’autorità giudiziaria;
  • può essere previsto l’affidamento della controversia ad un soggetto terzo – o un arbitro, ovvero un collegio arbitrale – che dirima la vertenza secondo diritto o secondo equità.

Vogliamo segnalare un’altra importante novità: il giudice investito della questione, una volta che sia stato depositato il ricorso, dovrà procedere all’interrogatorio delle parti e all’espletamento del tentativo di conciliazione (questa volta in sede giudiziale e a condizione che non sia stato esperito precedentemente un tentativo di conciliazione facoltativo o negoziale).
Il tentativo esperito nel corso del giudizio si caratterizza per il fatto che il giudice dovrà esplicitamente formulare una proposta transattiva. Questa, se immotivatamente rifiutata, potrà costituire un presupposto valutabile ai fini del giudizio.

Perché è stato abrogato il tentativo obbligatorio di conciliazione in materia giuslavoristica?

Già in passato, con riferimento al tentativo obbligatorio di conciliazione una parte della dottrina riteneva che tale presupposto obbligatorio di procedibilità costituisse un odioso ostacolo. Infatti, tale procedura costituiva un inutile passaggio che di fatto ritardava l’instaurazione del processo ed avrebbe fatto sorgere questioni processuali superflue, ma sopratutto risultava contrastante con la garanzia costituzionale prevista dall’articolo 24 Cost. che recita:

Art. 24.
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Oggi e con riferimento alla materia lavoristica il legislatore si è accorto che, dopo 13 anni di conciliazioni obbligatorie, sul piano statistico non si è avuto alcun effetto deflattivo, anzi.

Tali osservazioni sono già state oggetto di un nostro precedente articolo in cui mettevamo in evidenza l’incongruità della normativa sulla mediazione obbligatoria in ambito civile.

Una notazione merita essere effettuata subito raffrontando l’incongruità delle scelte del legislatore che da un lato abroga il tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di lavoro, e dall’altro introduce la mediazione obbligatoria in pressoché tutte le controversie civili:

In materia di lavoro il tentativo di conciliazione era:

  • Effettuato da un organo pubblico (la sede Provinciale del Lavoro) che garantiva l’istituzionalità e l’imparzialità del procedimento;
  • Gratuito: non era previsto alcun costo aggiuntivo in danno del lavoratore;
  • I termini erano di 60 ovvero 90 giorni a seconda dei casi (impiego privato o pubblico) ai fini della durata dello stesso e con riferimento alla possibilità di esperire l’azione giudiziale

La mediazione obbligatoria, invece, risulta essere:

  • Effettuata da un organo – sebbene accreditato – non caratterizzato da quelle garanzie di istituzionalità ed imparzialità dell’ente;
  • A titolo oneroso: a prescindere dall’esito il mediatore (o i mediatori) ed i consulenti degli stessi vanno retribuiti.
    Inoltre, le particolari tematiche oggetto della mediazione (dalla responsabilità medica alle liti condominiali, dalla diffamazione a mezzo stampa alle successioni ereditarie, dai contratti assicurativi, bancari e finanziari alle liti in materia di diritti reali, etc.), si può dire che rendano altamente consigliato l’ausilio della consulenza di un legale (e di ausiliari tecnici dello stesso);
  • I termini sono di 120 giorni prima che si possa instaurare il giudizio. Per cui, volendo fare un esempio: 120 giorni per la mediazione, 90 giorni i termini di citazione innanzi ad un tribunale, 45 giorni il periodo di sospensione feriale. Ammesso che l’attività dell’avvocato sia più che tempestiva (effettua la notifica della citazione allo scadere esatto dei 120 giorni previsti per la mediazione), che nessun imprevisto di carattere procedurale si verifichi (ad esempio: notifiche non andate a buon fine), che il giudice fissi l’udienza il giorno esatto della citazione (caso più unico che raro): avremo un ritardo secco di non meno di 255 giorni prima dell’inizio del processo. Salvo il caso che tutta l’attività effettuata venga vanificata da un errore procedimentale, da una erronea interpretazione delle norme, da cavilli legali e/o impedimenti burocratici.

Noi crediamo, non solo che la mediazione obbligatoria non avrà effetto alcuno sulla deflazione processuale, così come oltre tredici anni di tentativo di conciliazione obbligatorio in tema di lavoro ci hanno insegnato, non solo che i tempi dei processi si allungheranno notevolmente, ma che tale disciplina inciderà notevolmente sul concetto di giustizia che – secondo la nostra Costituzione e secondo il nostro ordinamento – non può che essere demandata agli organi istituzionali preposti e non a forme di consorterie private.

Sul punto l’OUA ha già presentato un ricorso al TAR contro la mediaconciliazione obbligatoria.